di Alessandro Bottacci
Premetto che non sono abituato a chiamare Lorenzo col suo nome; l’ho sempre chiamato Bibo e continuerò a farlo anche in questa occasione.
Il mio primo incontro col Bibo risale al 1967. Avevo otto anni e frequentavo la classe elementare di suo babbo, il Maestro Antonio Bonechi. Il maestro era un misto di severità e affabilità, per questo in classe si respirava un bel clima, fatto di rispetto ma anche di affetto. Ogni tanto il Bibo, allora dodicenne, veniva a trovare suo babbo alle Scuole “Lambruschini” e, su entusiasta richiesta di noi alunni, si divertiva a disegnare sulla lavagna, con i gessetti, figure di pellerossa con arco e frecce o di soldati tedeschi o americani con mitra spianati. Ripensandoci, penso che si ispirasse ai soldatini di plastica che ogni bambino di quel tempo usava per giocare.
Sempre in quegli anni ebbi occasione di frequentare il Bibo anche in un altro luogo a lui caro; il Fiorilli. Si trattava di una vecchia casa colonica posizionata nelle balze di Vaggio (balze che spesso ho rivisto nelle sue opere). Suo babbo, il mio Maestro, l’aveva affittata e la usava come casa di campagna. Data la vicinanza a Figline ci andava con i figli il pomeriggio dopo la scuola. Talvolta portava anche qualcuno dei suoi alunni, tra i quali io e altri miei compagni, felicissimi di fare questa gita sulla cinquecento del Maestro e di poter scorrazzare in libertà per i campi, prima di fare merenda. In queste puntate al Fiorilli mi incrociavo col Bibo e c’era modo di giocare insieme e di esplorare avventurosamente la zona.
La nostra amicizia però nacque nell’estate del 1968 a Gorgiti. Eravamo entrambi nel Gruppo Scout Figline 1°; lui essendo più grande frequentava il Reparto, io, di quattro anni più giovane, ero ancora un Lupetto. In quell’anno facemmo il campo estivo tutti insieme, in un prato sulla riva del Ciuffenna. Furono giorni indimenticabili nei quali crebbe in noi la passione per la natura e per l’avventura, per la conoscenza e lo spirito di fratellanza. Fu in quella occasione che un giorno risalimmo il torrente verso Rocca Ricciarda, con destinazione le sue sorgenti. Durante quella “impresa” avemmo modo di gustare la bellezza del posto e scoprimmo per la prima volta quella grande vasca naturale, scavata dal torrente nell’arenaria, che poi sarebbe divenuta uno dei suoi luoghi più cari e che sarebbe stata riprodotta in tante sue opere.
La vita scout ci vide sempre vicini, in una sorta di affinità elettiva che superava anche la differenza di età (cosa che, peraltro, oggi sarebbe impossibile). Condividemmo campi, uscite e attività.
Il Bibo era sempre il motore trainante, la sua fantasia effervescente e la sua capacità di realizzare tecnicamente quello che la mente produceva, ci permisero di portare avanti iniziative entusiasmanti. Ricordo bene le sue incisioni su linoleum dalle quali ottenevamo piccole stampe che vendevamo per auto finanziamento. Tra queste un bellissimo San Giorgio e il drago e una testa di Aquila (la sua Squadriglia). Questo impiego delle sue capacità artistiche e tecniche lo vide protagonista in molte altre attività, come quelle di raccolta fondi per l’Associazione “Operazione Mato Grosso”. Mi insegnava a lavorare la creta (che prendevamo alla fornace del Matassino, dove lavorava come segretaria Mafalda, la moglie del nostro Capo gruppo Moreno Marinelli). Io non avevo molte capacità artistiche e lui interveniva spesso a correggere e migliorare. Ho con me una coppia di ferma libri (rappresentanti due uomini seduti con la schiena appoggiata ad un muro) che non ero riuscito a fare per bene e che lui rifece completamente. Convinsi mia zia Alice ad acquistarla, nel 1973, durante uno di questi mercatini per l’OMG, dicendole, mentendo spudoratamente, che gli avevo fatti io. Alla sua morte mio zio me li ha restituiti ed ora sono un caro ricordo di entrambi (del Bibo che li ha fatti e di mia zia).
Nel 1972 il Campo estivo alla Verna segnò per tutti, ma credo per lui in modo particolare, la nascita di una rapporto profondo con San Francesco, la sua proposta di un cristianesimo povero, la sua meraviglia per la bellezza del Creato e per il messaggio che Dio ci trasmetteva attraverso di esso.
Poi arrivarono i pellerossa, i nativi americani (come si chiamano ora in modo meno dispregiativo). Erano gli anni della rivolta di Wounded Knee e della svolta epocale dei film americani che cominciarono a farci vedere la verità sulla conquista del Nord America da parte dei coloni europei con la sua scia di morte e distruzione. Quello con la cultura degli Indiani d’America fu un altro incontro dirompente, che diede avvio ad una passione che credo non abbia mai lasciato il cuore di Lorenzo. Ricordo con quanto impegno e con quanta cura preparava i costumi per le nostre epiche attività scout incentrate sui Pellerossa, tra questi gli scudi in pelle, realizzati per il Grande Gioco che facemmo a Monte San Michele nel 1975 e da lui dipinti con figure di animali. Penso però che la sua produzione più bella sia stata il grande Tepee che lui realizzò, prendendo il progetto non so dove, e che decorò con disegni indiani, dipingendolo nel cortile dei Salesiani. Il Tepee è ancora conservato, gli scudi non so dove siano finiti, ma sarebbe bello ritrovarne almeno qualcuno.
Per gli Scout il Bibo realizzò molte altre opere. Basti ricordare il grande quadro (tempera su carta) con le Guide intorno al fuoco e il bellissimo Crocefisso in terracotta, entrambi originariamente pensati per la sede delle Guide in Corso Mazzini a Figline. Credo che nel suo bagaglio artistico ci siano anche le sensazioni lasciate dai bellissimi disegni di Pierre Joubert, di Adriano Perone e dello stesso fondatore Robert Baden-Powell che abbellivano la Rivista “L’Esploratore”. Anche in questo caso torna il connubio tra Arte, tecnica e spiritualità che penso sia una connotazione tipica dell’attività del Bibo.
La nostra amicizia si esprimeva anche in pomeriggi trascorsi a giro per il Valdarno ed il Chianti con la sua Vespa Primavera 125 grigio argento. Spesso si andava in compagnia di altri amici che si univano col loro motorino. Io, che avevo un ciclomotore poco efficiente, montavo con lui e via per la campagna di Cavriglia, Sereto, Montegrossi, Monte San Michele, fino ad un altro luogo a lui carissimo il Castello di Albola, nel quale sognava di realizzare una comune agricola e che allora era in stato di semi abbandono. Anche i tanti fine settimana trascorsi a Sereto, la casa degli Scout di San Giovanni che stavamo restaurando tutti insieme, furono un momento nel quale si consolidò il nostro rapporto.
Qualche volta invece ci trovavamo a casa sua e insieme parlavamo, mentre lui realizzava qualche opera o sperimentava qualche tecnica. Insisto sulla tecnica perché più volte mi ha detto quanto la padronanza della tecnica fosse fondamentale per un artista. Non bastava avere la cultura e la fantasia, occorreva affinare (quasi puntigliosamente) gli strumenti tecnici che permettevano di trasformare l’idea nell’opera d’arte compiuta.
Era la fine degli anni settanta, l’Italia era scossa da un grande fermento politico. La destra e la sinistra si affrontavano in modo violento e spesso cruento, alimentate dai poteri nascosti che soffiavano sul fuoco. Tutti eravamo presi dalla impellenza dell’impegno politico che si esprimeva in un miscuglio di ambientalismo, comunismo, cristianesimo radicale. Anche il Bibo fu investito da questo ciclone e, pur mantenendo un certo equilibrio, prese parte alle grandi battaglie politiche di allora. Mi ricordo che fu fondato il Collettivo politico di sinistra in un salone posto al primo piano di una casa di in Corso Mazzini, a Figline Valdarno. Il Bibo lo frequentava regolarmente, io solo occasionalmente, non condividendo quelle idee e provenendo da una famiglia molto conservatrice. Mi ricordo le chiacchierate sulla politica e sull’arte, sulla rivoluzione, sulla giustizia che oggi sarebbe davvero strane se fatte da un quattordicenne e da un diciannovenne come eravamo noi allora. In questa spinta verso la sinistra che voleva cambiare il mondo, Lorenzo non perse mai il legame che lo univa alla sua Fede. In quell’ambiente molti erano gli agnostici e molti quelli che criticavano aspramente la religione come strumento di dominio dei popoli. Il Bibo non prese mai questa strada radicale. Quello che lo teneva legato alla religione, pur nel suo attivismo di sinistra, furono figure come Don Milani e Don Mazzolari e amicizie come quelle fondamentali con i tre Frati Servi di Maria di Ponterosso (Padre Pieri, Padre Gori e Padre Lancisi).
Il 1978 rappresenta una data fondamentale nella nostra amicizia. In quell’anno ci furono molti cambiamenti nelle mia e nella sua vita che portarono ciascuno a percorrere la propria strada, pur sapendo che il nostro legame, consolidato in anni di chiacchierate, attività, avventure e riflessioni, non si sarebbe mai dissolto. In quell’anno feci la Maturità e subito dopo partii per il Servizio militare negli Alpini sulle Dolomiti. Nel frattempo lui aveva deciso che il suo lavoro sarebbe stato la sua arte, qualunque prezzo avesse dovuto pagare.
Tengo come una delle cose più care il ritratto che mi fece tra il gennaio ed il febbraio del 1978. Lui aveva allora il suo studio in un piccolo e fatiscente appartamento all’ultimo piano del palazzo sopra alla bottega di coltelli della mia famiglia. Io gli avevo chiesto di farmi un ritratto perché sentivo che si stava avvicinando un punto di svolta nella nostra amicizia e volevo che rimanesse una testimonianza del nostro legame. Lui era molto restio a fare opere su ordinazione e tanto meno ritratti. Gli sembrava di essere forzato in un canale che limitava la libertà del cielo nel quale voleva volare con la sua Arte. Non potette dirmi di no, sia per quello che avevamo in comune sia perché la sua scelta di vivere prevalentemente di Arte, gli imponeva di non disdegnare possibili fonti di guadagno. Quando mi consegnò il quadro (del quale aveva scelto lui anche la cornice), mi lesse la dedica che mi aveva fatta sul retro, quasi a voler significare che quell’opera non era un prodotto che lui vendeva ma un segno del valore del nostro legame. Ancora oggi, rileggendola, non posso fare a meno di sentire una struggente nostalgia di quei momenti così belli ed intensi.
Negli anni ottanta continuammo a frequentarci sia negli scout (solo nei primi anni) che fuori, ma le nostre vite presero strade diverse e ci vedemmo sempre più occasionalmente ma sempre con grande affetto.
Voglio concludere questi ricordi raccontando un mio sogno che ha, per me, un grande significato. Il giorno che mi hanno avvisato che il Bibo era morto improvvisamente, ero a letto con la febbre alta e non ho potuto neanche prendere parte al funerale. La notte stessa l’ho sognato: eravamo sugli spalti della cerchia muraria bassa della città di Mont-Saint-Michel in Normandia (Francia). Stava bene e dietro di lui si stendeva il vuoto fondo del mare quando le acque si sono ritirate lontano per la forza della luna. Appena l’ho visto gli ho detto: “ O Bibino, che scherzo c’hai fatto?”. Lui mi ha guardato con il volto sereno e mi ha detto: “Ti volevo ringraziare perche mi hai fatto fare la Comunione” e poi il sogno è svanito. Non ricordo di avergli mai fatto fare la Comunione, ma credo che questo sia stato davvero un ultimo saluto che mi ha voluto lasciare di questa nostra semplice amicizia