di Roberto Bertoncini
Tra le insospettabili passioni che un assistente arbitrale può avere – oltre a quella ovviamente per il proprio ruolo – ci può essere anche quella per i libri di Tiziano Terzani. Un libro del giornalista (uscito postumo nel 2006) e scritto a quattro mani con il figlio Folco s’intitola “La fine è il mio inizio”; molto probabilmente non esiste sintesi migliore per raccontare gli oltre trent’anni sui campi di calcio di Lorenzo Manganelli, che sulla pelle tra i vari frammenti di vita ha tatuato ‘Anam’ – letteralmente ‘il senza nome’, riferito a Terzani – e il simbolo della Champions League in ricordo della finale di Lisbona tra Psg e Bayern Monaco, l’ultima sua partita come guardalinee. La partita dove tanto, tutto della sua strepitosa carriera arbitrale – l’inizio e la fine, appunto, si sono incrociati. “La finale del Da Luz è stata il coronamento di un sogno e soprattutto di un percorso – racconta Manganelli – ed è stata bella, profonda e indelebile perché avvenuta nell’anno più strano di tutta la mia carriera arbitrale. Un 2020 che mi ha dato tanto finora, come la nascita del mio secondo figli Neri, ma che mi ha tolto anche tanto. Tutto è partito alla grande, avrei dovuto fare gli Europei e le Olimpiadi, poi le difficoltà col lavoro, con l’arbitraggio e la scomparsa di mio padre”. Babbo Ferdinando, era lui all’inizio l’arbitro in casa Manganelli. Lo è stato per trent’anni, trasmettendo la sua passione al figlio Lorenzo che gli era fortemente legato. “Quando ero bambino la domenica mattina mi alzavo presto e lo seguivo alle partite. Mi mettevo dietro a una porta e facevo finta di avere un fischietto: quando il mio fischio coincideva con quello suo vero in campo ero felicissimo. Per me iniziare a far l’arbitro è stato facile, era una cosa che in un certo senso mi apparteneva già perché ero innamorato di mio babbo, lo sarò sempre, e mi piaceva la sua figura di direttore di gara”. Le immagini di Lorenzo che mostra la foto di suo padre durante la cerimonia di premiazione della finale hanno fatto il giro del mondo, un obiettivo essere a Lisbona che Manganelli si era posto quando ancora non era chiaro neanche se il pallone sarebbe ripartito. Si era fidato dell’istinto, lo stesso che spinge un guardalinee ad alzare la bandierina. “Dopo la scomparsa di babbo dissi alla mia compagna, a mia mamma, a mio fratello e a mia sorella che avrei ricominciato ad allenarmi a casa. Non si sapeva ancora se sarebbero riprese le partite, ma nel caso io mi sarei fatto trovare pronto e avrei pure arbitrato la finale di Champions League perché la volevo dedicare a babbo. In quei giorni mi sentivo costantemente con Daniele Orsato e scherzavamo un po’ su questa storia della finale, tanto da dirci che allora l’avremo fatta insieme. Il calcio poi è ripartito e con Daniele abbiamo diretto un ottavo di Europa League e poi Wolverhampton – Siviglia dove abbiamo fatto un’ottima prestazione. A vederci c’era il vice capo della commissione Uefa, sapevamo che un’altra gara ci sarebbe toccata”. Ma non proprio quella, la finale, come se in qualche modo fosse già scritto nel destino. “Dopo la designazione ci siamo sentiti con Daniele che mi fa ‘Allora, sei in forma’? Ci siamo messi a piangere al telefono”.
“Il futuro? Con i giovani”
Tra le delusioni per gli Europei e nuovi progetti, Manganelli ha solo un desiderio: dedicarsi ai ragazzi della sua sezione
E dire che il guardalinee non lo voleva neanche fare. È grazie a un’intuizione di Luciano Giunti, a cui è dedicata la sezione Aia del Valdarno se Lorenzo Manganelli ha proseguito il suo percorso arbitrale fino ai massimi vertici. Senza mai dimenticarsi da dove è partito. “Fino alla Serie C posso dire che lo si fa per pura passione, nonostante sia richiesto un impegno professionistico, un aspetto decisamente da rivedere a mio avviso – spiega Manganelli – In Serie B e in Serie A un arbitro guadagna un po’ di soldi, ma il cambio vero arriva con la nomina internazionale. Il rischio ad alto livello è quello di concentrarsi solo su ciò che in quel momento ti dà, come viaggi per il mondo e dormire in hotel di lusso – prosegue – Se non sei attento quando smetti rischi di rimanere attaccato a certe cose, preda di questi stereotipi. Trovo che l’aspetto psicologico per un arbitro sia fondamentale: personalmente ho seguito un percorso di analisi importante, accompagnato da una mental coach e da una psicologa. I periodi difficili in una carriera capitano”. Quelli peggiori per Lorenzo sono coincisi con due episodi spiacevoli: un’operazione per un tumore alla milza a 22 anni e un grave incidente stradale nel 2013 che lo ha tenuto lontano dal campo per 8 mesi. “Al mio rientro volevo smettere, pensavo di aver perso quella spinta a livello inconscio che ti porta anche in maniera spregiudicata a prendere la decisione giusta – racconta – Credo sia fondamentale imparare a pensare positivo, a me è servito”. Un approccio al campo e alla vita, che prosegue anche dopo il calcio. Sebbene con un rammarico. “Non poter andare agli Europei è una grossa delusione. Mi è scaduta la deroga che mi avevano concesso nel 2019 perché avevo raggiunto i quarantacinque anni di età, nonostante rimanga fino al 2020 compreso un assistente internazionale. Mi sembra un paradosso, però lo accetto, per fortuna il calcio mi ha dato tanto come la finale di Champions e quella di Europa League lo scorso anno”. Lo sguardo si rivolge così al futuro, tra lavoro, famiglia e amici. Passare più tempo con la compagna e i figli Folco e Neri, concentrarsi nel lavoro – “Sono agente di commercio con mio zio Massimo Manganelli da venticinque anni, è grazie a questo lavoro che ho potuto portare avanti la carriera di arbitraggio” ci tiene a sottolineare – dedicarsi alle sue collezioni vintage e a nuovi progetti come la produzione di vini insieme a un gruppo di amici. Con un pensiero che va ai giovani arbitri valdarnesi. “Mi è stato offerto un ruolo in una commissione nazionale, ma non l’ho accettato. Mi piacerebbe un domani mettermi a disposizione dei ragazzi della mia sezione, condividere con loro la mia esperienza. Ho dei bei ricordi di quando ho iniziato, che poi mi sono sempre portato dietro, penso quindi che per i giovani sia fondamentale vivere la propria sezione in amicizia, condividere passioni e sogni. Trovo che ci siano tanti ragazzi di potenziale se saputi ascoltare, l’aspetto principale per valorizzare un giovane arbitro”.
Dal Valdarno a Lisbona: quanti ricordi di viaggio
L’ex guardalinee ripercorre la sua carriera tra aneddoti e l’incontro con i grandi del calcio
Vaggio – Tuscar Gemini, 0 a 0. Inizia con un pareggio a reti inviolate la carriera arbitrale di Lorenzo Manganelli. Una vita fa rispetto ai match di coppa e ai derby di Serie A, ma quello nelle categorie dilettantistiche rimane un periodo a cui l’ex assistente si sente sempre particolarmente affezionato. “Ho arbitrato 96 partite di Terza Categoria, a raccontarlo quasi non ci si crede! – scherza – Comunque è la verità, per me sono stati degli anni bellissimi. Se riesci a viverli bene, poi ti godi in maniera diversa, più genuina, quelli ad alto livello”. Oltre 300 partite tra Serie A e B (esordio nella massima serie in Torino – Livorno del 2008) e 102 gare internazionali (prima gara in Champions League nel 2012, Borussia Dortmund – Ajax). In un percorso così sono tanti i ricordi che uno si porta dietro, gli aneddoti, i personaggi. Ma soprattutto le emozioni che si provano all’ingresso in campo. “Prima della gara il cuore mi batteva sempre forte, le ho sempre sentite troppo per senso di responsabilità – racconta – Entrando in alcuni stadi realizzi dopo dove sei, non ti sembra vero”. Certe cose poi ti sembrano proprio impossibili, come ritrovarsi in una finale di Europa League con un valdarnese come te. “Con Maurizio Sarri ci siamo incontrati tantissime volte in campo, la prima volta che l’ho arbitrato ero un ragazzino e lui allenava lo Stia – ricorda Manganelli – Poi negli anni l’ho diretto in tutte le altre categorie fino a ritrovarci a Baku, nella finale vinta dal suo Chelsea contro l’Arsenal. Appena mi ha visto ha detto scherzando ‘E te che ci fai qua?’ È stato un momento simpatico, emozionante. Da parte mia nei suoi confronti c’è una grandissima stima”. Rapporti un po’ meno amichevoli con Diego Simeone, l’allenatore dell’Atletico Madrid, un altro dei grandi del calcio incontrati a bordo campo. “Credo sia un personaggio incredibile, un uomo dall’energia incontenibile in panchina. Durante una partita gli chiesi di calmarsi, altrimenti lo avrei dovuto allontanare e lui molto chiaramente mi disse che sarebbe stato molto più facile il contrario perché ero a casa sua. Poi ho avuto modo di conoscere Sir Alex Ferguson, José Mourinho che mi ha accolto al mio esordio a San Siro e alcuni dei più forti calciatori di sempre come Messi, Ibrahimovic, Giggs, Robben o Lewandowski, che ammiro molto”. Di qualcuno di questi Manganelli si è anche tenuto la maglietta (una collezione diciamo piuttosto invidiabile di circa 400 pezzi), a cui si aggiungono i badge di qualifica da internazionale, i gagliardetti dei derby – “Quello di Roma il più acceso, Genova il più affascinante” – i palloni delle partite più importanti e le medaglie. E chi l’avrebbe mai detto dopo quello 0-0 a Vaggio?