Un lavoro difficile, fatto in un momento ancor più complicato e pieno di insidie. Affrontare l’emergenza coronavirus è stato come affrontare una montagna per i giovani medici, infermieri e operatori dell’Usca del Valdarno aretino che hanno voluto raccontare la propria esperienza attraverso le immagini e un video che li ha visti salire fino alla Croce del Pratomagno. Una “scalata” fisica, ma anche simbolica, con la speranza di vedere al più presto la fine della pandemia come un bel panorama dalla cima di una vetta.
11 medici, 11 infermieri e 3 operatori socio sanitari per un’età media di 28 anni: sono loro i protagonisti di questa storia che Tommaso Bocci, insieme ad Alessandro Ermini, ha voluto raccontare. Giovani professionisti che costituiscono l’Unità speciale di continuità assistenziale: nella prima fase dell’emergenza hanno lavorato nelle Rsa di Montevarchi e Bucine, oltre che in altre zone della provincia di Arezzo. “Questa montagna – spiega Ermini – rappresenta la nostra storia. Quando abbiamo iniziato il cammino non solo non conoscevamo la strada ma nemmeno potevamo vedere la vetta. E il percorso è stato veramente difficile come il Pratomagno d’inverno, con il freddo e la neve”.
La prima fase. “Siamo tutti giovani, alcuni di noi appena laureati che dalla comoda scrivania con i libri si sono ritrovati in una Rsa con anziani a rischio della vita. Non è stato facile. Avevamo anche un po’ di paura perché, come tutti, sapevamo poco del virus e ci chiedevamo cosa avremmo potuto fare con le persone che avevamo di fronte, come avremmo potuto curarle. Se le avremmo potute curare. E poi, sinceramente, avevamo anche qualche timore per noi: quando non si ha nemmeno 30 anni non si pensa alla morte e tantomeno si pensa che la nostra vita possa essere a rischio. Mentre andavamo nelle Rsa, vedevamo e leggevamo, però, di colleghi che si ammalavano e stavamo male. E talvolta morivano”.
La seconda fase dell’emergenza vede i giovani dell’Usca impegnati nelle visite nelle case dei positivi in isolamento: per verificare come stanno ma talvolta per dirgli che dovranno andare in ospedale e non vedere più, per diversi giorni, alcun parente e amico. Adesso sono alle prese anche con i vaccini, ma si tratta di un periodo in cui non ci sono solo più speranze, ma anche più sicurezze. “Fare il vaccino dà speranza ma alcune parti di questo lavoro rimangono difficili. Nelle case – ricorda Ermini – troviamo persone anche di 40 o 30 anni che pensano di stare bene, che non hanno sintomi e che sono solo arrabbiati di dover stare in casa. Talvolta, invece, gli dobbiamo dire che non solo hanno il Covid ma che la loro condizione richiede il ricovero in ospedale. Quindi devono salutare mariti o mogli, figli o genitori con la consapevolezza che in un reparto di degenza Covid non potranno vedere nessuno. E la rabbia lascia il posto alla paura e all’angoscia”.
Sulla cima del Pratomagno l’Usca del Valdarno c’è arrivata. Ma la scalata verso la fine dell’emergenza Covid continua. I titoli di coda recitano “dagli Usca per gli Usca”. “Il video lo abbiamo fatto anche per noi – conclude Ermini. Questa è stata e continua ad essere non solo un’eccezionale e mai fatta prima esperienza professionale ma anche una straordinaria esperienza umana. Questo gruppo, che è stato sempre lo stesso dalla sua costituzione, cambierà a fine gennaio. Tre di noi hanno superato i test per la specialistica e andranno quindi a chirurgia pediatrica, gastroenterologia ed emergenza urgenza. Gli altri continueranno e ci saranno nuovi ingressi ma nella nostra memoria rimarrà sempre questo gruppo di giovani che è stato capace di scalare la montagna”.