Bekaert va dritta per la sua strada e conferma i licenziamenti per i lavoratori dello stabilimento di Figline. È questo il principale aspetto del tavolo tecnico svoltosi questo pomeriggio, l’ultimo previsto per discutere della procedura di licenziamento collettivo attivata dall’azienda. Il confronto-fiume prosegue, con l’azienda che ha avanzato ufficialmente una proposta alle sigle sindacali riguardo il licenziamento degli operai ancora legati alla fabbrica. Un documento che, attualmente, concede una possibile proroga della cassa integrazione per 8 settimane, un conguaglio economico per i lavoratori che usciranno volontariamente, delle agevolazioni per eventuali aziende interessate ad acquistare il sito, ma a prescindere il licenziamento unilaterale degli operai che dunque rimarranno in cassa, nel caso, fino a maggio prima di finire in Naspi.
Proposta in fase di studio da parte dei sindacati – e che quindi presupporrà un ulteriore approfondimento nelle prossime ore prima di un eventuale accordo definitivo tra le parti – ad eccezione della Fiom che ha dichiarato di non voler prendere parte a nessuna trattativa che preveda come unico punto fermo il licenziamento degli operai, come spiegato dal segretario Fiom Cgil Firenze Prato, Daniele Calosi.
“Dal 22 giugno 2018 ad oggi abbiamo ribadito l’indisponibilità della Fiom a firmare i licenziamenti, per questo abbiamo rifiutato la proposta di un’azienda che ha scelto di delocalizzare per massimizzare i profitti a discapito di 318 lavoratori e che in 32 mesi non è stata capace di proporre alcuna soluzione per reindustrializzare lo stabilimento di Figline – commenta – Come Fiom Cgil abbiamo fatto tutto il possibile per trovare una soluzione a questa vertenza. Un impegno costante che ha coinvolto tutta la struttura, dalla base ai Segretari Nazionali della Fiom e della Cgil, presenti sia in sede ministeriale che sui cancelli, e fino al sindacato belga che ci ha aiutato a fare pressione su Bekaert”.
Calosi nella nota Fiom ripercorre i diversi step che nell’arco di quasi tre anni ha attraversato la vertenza, dai presidi di fronte ai cancelli della fabbrica figlinese, alla presentazione di una proposta di decreto per la reintroduzione della cassa integrazione per cessazione di attività accolta dal Mise, l’incontro con il presidente del Parlamento Europeo David Sassoli fino al supporto per la costituzione della cooperativa da parte di un gruppo di lavoratori, di recente messa in liquidazione.
“Durante tutti questi mesi grazie alla determinazione dei lavoratori e della Fiom non abbiamo mai consentito a Bekaert di procedere ai licenziamenti, ma abbiamo sempre chiesto che alla perdita del lavoro corrispondesse una nuova occupazione soprattutto attraverso la reindustrializzazione del sito di Figline e Incisa, sta in questa logica infatti l’accordo siglato con Laika – Non possiamo perciò oggi siglare un accordo che preveda licenziamenti in assenza di prospettive occupazionali certe per i lavoratori. Abbiamo quindi chiesto all’azienda il ritiro della procedura di licenziamento, rinnovando la disponibilità a firmare accordi sulle uscite volontarie, e l’attivazione immediata della Cassa Integrazione per Covid-19, totalmente gratuita per Bekaert, al fine di guadagnare quel tempo necessario ad avere l’incontro al Ministero dello Sviluppo Economico alla presenza del neo Ministro Giorgetti, come richiesto anche dal Presidente della Regione Toscana Eugenio Giani nella lettera inviata sabato scorso. Tutto questo per favorire quel processo di riattivazione industriale del polo dell’acciaio toscano più volte richiamato dalla Presidenza della Regione sul quale la Fiom si è sempre dimostrata disponibile al confronto, ritenendo necessaria una presenza diretta dello Stato nel Capitale della nuova azienda che dovrà sorgere nello stabilimento ex Bekaert”.
“Presso il Ministero dello Sviluppo Economico chiederemo inoltre l’interessamento del Ministro del Lavoro, al fine di garantire tutti gli ammortizzatori sociali utili a definire compiutamente il piano di reindustrializzazione e rilancio della fabbrica di Figline. Dopo 32 mesi trascorsi a lottare perché alla perdita del lavoro corrispondesse una nuova occupazione non siamo disposti a firmare un accordo che lascia per strada più di cento lavoratori. Se avessimo voluto fare un accordo economico non avremmo aspettato trentadue mesi. Il sindacato negozia la reindustrializzazione ed il lavoro, non la mitigation e gli incentivi. Dopo oltre 60 anni di attività si chiude una fabbrica che ha fatto la storia di un territorio. Una vergogna ed una mancanza di rispetto per i lavoratori e per il territorio. Tutto ciò che hanno ottenuto i lavoratori è il risultato dell’impegno del sindacato e della loro mobilitazione. L’eventuale mancata reindustrializzazione del sito avrà delle responsabilità ben definite” conclude Calosi.